Quanti di voi, di fronte al calendario che ci ricorda che il primo maggio è la festa del lavoro, oggi hanno espresso un sorriso amaro? I fatti ci parlano di un tasso di disoccupazione giovanile al 31,6%, tra i più alti in Europa, abbiamo uno Statuto dei lavoratori che risale al 1970 e previsioni sempre più misere per i trattamenti prevvidenziali dei giovani che si inseriscono sempre più tardi nel mondo del lavoro. Un motivo per essere positivi in questo primo maggio però c’è. Ed è davvero importante
Il PNRR di Draghi mette al centro del Paese i giovani. E’pensato per loro. E per il loro futuro investe cifre mai viste in Italia. Il ponte tra scuola e lavoro si rafforza – tra le altre cose, il potenziamento degli ITS, perla del nostro sistema di istruzione, sarà uno dei punti cardine dei 32 miliardi previsti per l’istruzione – e grandi risorse puntano sull’orientamento dei giovani. Ed è su questo cruciale elemento, che spesso viene trascurato, che è bene spendere qualche parola in questo primo maggio: orientamento significa decidere il proprio futuro. Abbiamo visto non solo nelle statistiche ma anche nelle esperienze di vita personali o di chi ci sta vicino cosa significa sbagliare indirizzo di studio. Una scelta che genera anni e anni di malessere, prima psicologico, e poi economico.
Decidere, in latino, significa “tagliar via” cioè eliminare tutte le alternative che non scegliamo. La nostra capacità di decisione è messa in crisi dagli infiniti input che riceviamo quotidianamente e che sovraccaricano il nostro sistema nervoso. Roy F. Baumeister, sociopsicologo, ci parla di esaurimento dell’ego: più scelte facciamo durante il giorno, più diventa difficile continuare a scegliere. Non è che in passato fosse facile, ma oggi lo è ancor meno. La fatica mentale distorce il giudizio di tutti e solo da pochi anni il mondo della psicologia ha iniziato ad indagare la fatica di decidere.
E’interessante ricordare una ricerca di Jonathan Levav, dell’università di Stanford, e di Shai Danziger, dell’università Ben Gurion: hanno analizzato le decisioni di libertà condizionale concessa dai giudici nel corso di un anno. Il risultato è staro quantomeno sorprendente: il 70 per cento dei casi esaminati al mattino si concludeva con la decisione dei giudici di rimettere il detenuto in libertà. Al pomeriggio, tale decisione veniva presa solo nel 10 per cento dei casi. Perchè? Secondo gli autori della ricerca, i giudici erano stati logorati dalla fatica mentale accumulata esaminando casi sopra casi. Negare la libertà diventa cosi la scelta più semplice perché elimina i rischio che il detenuto possa commettere altri reati ma lascia aperta la possibilità di riesaminare il caso. E non è forse ciò che fanno molti ragazzi quando si trovano il cervello in fumo a furia di pensare a quale facoltà scegliere ed alla fine optano per quella che dà più possibilità di accedere a concorsi (cioè un numero infinito di anni di studio) senza pensare più a ciò che davvero vogliono?
Del resto, è vero che evitare di scegliere allenta la tensione mentale ma è chiaro che provoca problemi a seguire. O ci affidiamo agli algoritmi, come suggerisce la Harvard Business Review o impariamo a scegliere ciò che veramente vogliamo. E cosi forse potremo avere un primo maggio più sereno: se amiamo ciò che abbiamo scelto di studiare avremo senza dubbio più possibilità di eccellere nello svolgere quel lavoro e quindi di superare la concorrenza e le perturbazioni del mercato e del contesto. E di poter davvero festeggiare un primo maggio sereno.
Come scrive Zygmut Bauman: “La vita si vive nell’incertezza, per quanto ci si sforzi del contrario. Ogni decisione è condannata a essere arbitraria; nessuna sarà esente da rischi e assicurata contro insuccesso e rimpianti tardivi. Per ogni argomento a favore di una scelta si trova un argomento contrario non meno pesante”.