Legge n. 81/2017 su lavoro agile e smart working

La nuova disciplina svincola la prestazione lavorativa dal luogo fisico in cui vengono svolte le attività lavorative

La legge sul “lavoro agile”, in vigore dallo scorso giugno, disciplina il fenomeno relativamente nuovo dello smart working, che svincola la prestazione lavorativa – e quindi la produttività del dipendente – dal luogo fisico in cui vengono svolte le attività lavorative. 

Dal punto di vista contrattuale, la legge non cessa o modifica il rapporto di subordinazione ma ne rappresenta semplicemente una modalità di esecuzione. Più che di contratto si parla infatti di “accordo tra le parti, con forme di organizzazione senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. Si stabilisce, quindi il principio di volontarietà e la necessità un accordo scritto tra il datore di lavoro e il dipendente, mentre il lavoro resta di tipo subordinato, con lo stesso trattamento economico e le stesse tutele. Quello che cambia, in sostanza, è l’organizzazione del lavoro e il necessario ricorso a strumenti tecnologici per rendere possibile il lavoro e il relativo controllo da parte dell’azienda.

Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano rappresentano in Italia il punto di riferimento sull’innovazione digitale. Nell’Area Digital Solutions, che raggruppa gli Osservatori che studiano in modo approfondito specifici ambiti applicativi e infrastrutturali relativi alle nuove tecnologie digitali, sono presenti gli studi sullo smart working, in grado di fornire dati significativi sul fenomeno in Italia: 

  • Nel 2017 cresce del 14% rispetto al 2016 (del 60% rispetto al 2013) il numero di lavoratori che godono di autonomia nella scelta delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati. 
  • gli Smart Worker sono ormai 305.000 – l’8% del totale dei lavoratori del campione
  • si distinguono per maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e maggiore padronanza di competenze digitali rispetto agli altri lavoratori
  • gli Smart Worker sono caratterizzati da un’elevata mobilità nei luoghi di lavoro: trascorrono mediamente solo il 67% del tempo lavorativo in azienda, contro l’86% degli altri
  •  L’Osservatorio stima l’incremento di produttività per un lavoratore derivante dall’adozione di un modello “maturo” di smart working nell’ordine del 15%.

Soddisfazione lavorativa:

  • soltanto l’1% degli smart worker si ritiene insoddisfatto nel complesso (contro il 17% degli altri lavoratori)
  • il 50% è pienamente soddisfatto delle modalità di organizzare il proprio lavoro (22% per gli altri)
  • il 34% ha un buon rapporto con i colleghi e con il capo (16% per gli altri)

 Le grandi imprese:

  • il 36% ha già lanciato progetti strutturati (il 30% nel 2016)
  • una su due ha avviato o sta per avviare un progetto
  • solo il 9%, però, ha portato avanti un ripensamento complessivo dell’organizzazione

Anche tra le PMI cresce l’interesse:

  • il 22% ha progetti di smart working
  • di queste solo il 7% lo ha fatto con iniziative strutturate
  • un altro 7% di PMI non conosce il fenomeno e ben il 40% si dichiara “non interessato” 

Pubbliche amministrazioni

Per quanto riguarda la Pubbliche Amministrazioni, la Direttiva n. 3/2017 prevede che esse adottino misure organizzative per sperimentare forme di lavoro agile e di smart working, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili. Dal 15 novembre 2017 il Ministero del lavoro ha reso disponibile la piattaforma informatica per la trasmissione degli accordi individuali di smart working.

  • solo il 5% degli enti ha attivi progetti strutturati
  • un altro 4% pratica lo smart working informalmente
  • il 32% delle pubbliche amministrazioni ammette esplicitamente assenza di interesse o di non sapere se sarà introdotta in futuro (per motivi legati alla realtà in cui lavorano, alle carenze normative).

Welfare Index PMI del 2018

Secondo il Welfare Index PMI, Il 59% delle PMI offre ai dipendenti misure organizzative e servizi per la conciliazione delle esigenze della vita familiare con il lavoro. Le imprese che attuano misure di flessibilità sono più che raddoppiate negli ultimi due anni, passando dal 16,1% al 34,3%. È un trend determinato da numerosi fattori, organizzativi e tecnologici ma soprattutto di cultura aziendale:

Un report Eurofound-ILO pubblicato l’anno scorso dimostra che l’Italia è l’ultimo paese in Europa nella percentuale di dipendenti che lavorano in remoto (Telework/ICT-mobile work):

Nell’edizione 2018 di “Lavoro a Milano”, una raccolta di dati sul mercato del lavoro predisposto da un team di ricercatori di Assolombarda, Cgil, Cisl e Uil per descrivere le caratteristiche della forza lavoro e delle imprese del territorio, sono stati analizzati i tassi di diffusione del lavoro agile, comparandoli anche con altri paesi europei. In particolare:

“L’evoluzione delle nuove tecnologie sta portando una vera e propria rivoluzione nel lavoro. Grazie alla rete e ai vari device (smartphone, tablet, computer portatili) infatti, è possibile operare da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento: si sta diffondendo quello che viene comunemente chiamato smartworking (o lavoro agile), che è una nuova modalità di svolgimento del rapporto di lavoro che, sulla base di un accordo tra le parti, consente ai lavoratori spazi di autonomia nella scelta di luoghi, orari e strumenti digitali per svolgere la loro attività. Secondo l’Osservatorio sullo Smartworking del Politecnico di Milano, che ormai da alcuni anni monitora il fenomeno, tra le imprese con 250 e più dipendenti sono già il 43% quelle che offrono tale opportunità ai propri dipendenti, in modo più o meno strutturato; nelle Pmi la percentuale si dimezza (22%) e solo in un caso su tre (7%) è previsto in modo strutturato. L’Osservatorio stima in poco più di 300 mila i lavoratori coinvolti, pari all’8% della popolazione occupata che potenzialmente potrebbe fruirne (impiegati, quadri e dirigenti che svolgono la loro attività in imprese con più di 10 dipendenti): una percentuale in costante crescita, rispetto al 5% del 2013 e al 7% del 2016. In altri Paesi si registrano tassi di diffusione superiori: la Francia – col 25% – si colloca sopra la media europea (18%), mentre Germania (13%) e Spagna (12%) sono sotto, ma precedono l’Italia.”

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