Nel PNRR esiste un dispositivo innovativo, prezioso per affrontare alcune criticità strutturali del nostro sistema economico, ma che rischia di non dare gli effetti per i quali era stato studiato. L’obiettivo era affrontare la difficoltà strutturale di accesso dei giovani al mercato del lavoro: abbiamo la quota di Neet più elevata di Europa ed una differenza strutturale tra uomini e donne nella partecipazione al lavoro e all’inclusione socioeconomica che incide nettamente sul Pil nazionale. Risultato: inefficienza produttiva ed una incidenza sugli assetti demografici che in questi giorni è diventata notizia che riempie le pagine dei giornali in relazione alla riduzione del numero degli studenti nelle scuole italiane.
Abbiamo un tasso di occupazione femminile stabilmente al di sotto del 50% che diventa 33% al Sud, e con un gap medio rispetto agli uomini, del 20%. Siamo l’ultimo Paese europeo per fecondità – 100mila bambini in meno negli ultimi 8 anni – eppure una donna su 6 lascia il lavoro a seguito della maternità. E su questo non ci sono rilevanti differenze territoriali: nel 2021, 35mila dimissioni volontarie di donne con figli da 0 a 3 anni. E quando il lavoro femminile c’è non è pagato abbastanza per garantire la tenuta familiare o la scelta di fare figli.
Una accurata e preziosa analisi di questo fenomeno viene dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) di Roma, in un paper di Valentina Cardinali, componente del gruppo di lavoro “Occupazione femminile e disparità salariali”, istituito dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali. Oggetto della discussione è il “dispositivo di condizionalità” inserito nel PNRR e partorito dallo stesso gruppo di lavoro di cui fa parte la Cardinali, per la parità di genere e generazionale: nel PNRR è stata presentata come una priorità trasversale. Per realizzarla, si è tradotta in un un vincolo per gli operatori economici aggiudicatari di bandi: destinare ai giovani under-36 e alle donne senza limiti di età, almeno il 30 per cento dell’occupazione aggiuntiva creata in esecuzione del contratto per le attività essenziali a esso connesse. Si tratta della misura, disciplinata dall’art. 47 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 e dalle Linee guida di cui al D.M. 7 dicembre 2021. Sta andando davvero così?
L’attenzione che la Cardinali accende sul tema è cruciale: il dispositivo introdotto nel PNRR è sicuramente un’azione positiva ma quanto è lontano della sua attuazione? Il rispetto del 30% nell’occupazione aggiuntiva creata dai singoli progetti del PNRR per giovani e donne è definito come obbligatorio e condiziona sia l’accesso ai fondi in sede di presentazione dell’offerta, sia l’esecuzione del progetto mentre la componente ‘opzionale’. La parte non obbligatoria, invece, fa riferimento al comma 5 del decreto che determina come assegnare un punteggio aggiuntivo all’offerente o al candidato.
Ciò che sta accadendo è che il dispositivo di condizionalità è obbligatorio e vincolante per tutti gli operatori economici aggiudicatari di bandi per i fondi PNRR e PNC sin dalla fase di presentazione dell’offerta, ma si tratta di un obbligo non direttamente applicabile: “la misura, per essere operativa, deve essere inserita e disciplinata dalle stazioni appaltanti all’interno dei bandi di gara, secondo le disposizioni previste dalle Linee guida del D.M. 7 dicembre 2021, che prevedono anche il conseguente sistema di deroghe. Le stesse Linee guida indicano anche come e in che misura l’eventuale non copertura della quota, verificabile a fine progetto dalla Stazione appaltante, possa comportare decurtazione dei finanziamenti connessi”.
In sostanza, la previsione di margini di deroga particolarmente ampi ha praticamente svuotato e reso superabile il suo carattere di obbligatorietà, rimasto tale sulla carta, sancendo la sua inefficacia come strumento correttivo di criticità strutturali e rendendolo forse una ‘buona prassi’ in contesti particolarmente sensibili.
In sintesi, scrive la Cardinali, si tratta di “un dispositivo innovativo, in un calendario attuativo sicuramente stringente, che, tuttavia, è stato valutato e disciplinato al pari di un dispositivo ordinario, senza tenere in adeguata considerazione la sua natura di azione positiva, per definizione derogatoria e di inversione delle dinamiche ordinarie di reclutamento nel mercato del lavoro di giovani e donne. Una sperimentazione e un’innovazione, quindi, partita con armi già spuntate: lo scenario di mancato impiego delle donne, che pesa, tra le varie stime istituzionali, almeno 6 punti di PIL mancato, non può essere certo più etichettato come ‘una questione di donne’ o ‘un problema di parte’, ma è un reale problema economico di tutto un Paese”.