Addio curriculum, ora c’è la gamification

L’uso dei giochi nei processi di recruitment è utilizzato per determinare se un candidato possiede gli skills adeguati per il profilo richiesto. Alcune aziende di grandi dimensioni hanno già adottato questo metodo di recruitment, invitando i candidati a impegnarsi in alcuni giochi per valutare il loro potenziale e l’aderenza alla job description. 

Gamification: una nuova strada per le risorse umane 

L’intelligenza artificiale e i continui avanzamenti nella tecnologia non stanno a significare soltanto che le mansioni dei professionisti HR vengano meno, piuttosto rappresentano un valore aggiunto nei metodi di recruitment dei candidati.

Al di là di un’attenta valutazione del curriculum, l’uso dei giochi nei processi di recruitment è utilizzato per determinare se un candidato possiede gli skills adeguati per il profilo richiesto. 

Alcune aziende di grandi dimensioni hanno già adottato questo metodo di recruitment, invitando i candidati a impegnarsi in alcuni giochi per valutare il loro potenziale e l’aderenza alla job description. 

Nel 2016 Career Builder USA ha effettuato una ricerca che ha coinvolto circa 2000 recruiters, in cui è emerso che tre quarti dei professionisti trovano candidati non proprio idonei a ricoprire una determinata job description con un costo per l’azienda in questione che si aggira sui 17.000 dollari.

Questo rischio si può arginare ricorrendo all’uso della gamification, processo che si basa su una verifica più immediata e anche a 360° degli skills del candidato, senza tralasciare il background formativo e professionale. 

L’Osservatorio HR Innovation Practice e quello sulla Gamification del Politecnico di Milano presentano uno scenario piuttosto esaustivo della sinergia tra le nuove tecnologie adottate dalle direzioni aziendali per il recruitment e gli sviluppi della gamification. 

L’Osservatorio HR Innovation Practice mette in evidenza che tra gli obiettivi prioritari per il 2017 per le Direzioni HR c’è l’aumento della motivazione e della soddisfazione delle persone (36%), soprattutto tramite i piani formativi (78%), l’introduzione di modelli di performance management basati sul raggiungimento dei risultati (53%).

Le dinamiche ludiche e i loro principi trovano applicazione in contesti generalmente estranei ai giochi e vedono l’intersezione di discipline diverse tra loto: ingegneria, psicologia, scienze cognitive.

Basti pensare che, secondo i dati dell’Osservatorio, la Gig Economy ricorre alla gamification per stabilire la performance, la valutazione e i compensi dei collaboratori, per renderli più produttivi e per instaurare una sottile competizione che si rivela altresì necessaria per competere nel mercato e per misurare l’indice di gradimento degli utenti. 

Alcuni esempi di gamification nei processi di selezione 

Sorgenia, azienda leader nel settore dell’energia elettrica ha scremato circa 1000 curriculum, sottoponendo i primi 200 candidati – selezionati sulla base del corso di laurea e del voto – a #PlayYourTest, uno strumento sviluppato da Laborplay (spin off dell’Università di Firenze) che misura la performance a partire dalle soft skills, e dalle abitudini di gioco.

I primi 20 candidati selezionati sono stati successivamente affiancati dagli psicologi per valutare definitivamente la loro aderenza al profilo ricercato. La Microsoft House di Milano ha sottoposto ai candidati quesiti di logica e la partecipazione ad alcuni videogame. 

Gli skills da coltivare per essere in linea con il digital recruitment

La gamification è un processo che è ancora in fase embrionale nell’ambito della selezione del personale, ma è anche una nuova modalità per motivare i collaboratori che appartengono alle grandi aziende, soprattutto per quel che riguarda i lavori in team e per valutare la performance non solo basata sugli obiettivi ma anche sul problem solving.  

L’ultima indagine Ocse-Pisa sul Problem solving, condotta su un campione di 3.500 studenti, dimostra tuttavia che gli italiani non sono predisposti al lavoro di squadra. L’Italia è solo al 30° posto su 51 paesi dell’area UE.

Un campanello d’allarme da non sottovalutare in vista dell’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, che rischierebbero di non essere preparati a sufficienza di fronte alle modalità di selezione che stanno assumendo una dimensione che premia soft skills, competizione e problem solving.

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